Lasciare il proprio corpo altera la prospettiva sul mondo, portando a un senso di unità con gli altri, dissolvendo l’ego e rafforzando l’empatia. Questa è l’ipotesi proposta in una recensione filosofica da ricercatori americani guidati da Marina Weiler e tra cui Bruce Greyson, un noto studioso delle esperienze di pre-morte.

Gli autori non hanno condotto esperimenti propri, ma hanno analizzato una moltitudine di pubblicazioni esistenti. Hanno notato che le esperienze fuori dal corpo riducono la paura della morte e cambiano la vita di una persona. La stragrande maggioranza di coloro che “ritornano” al proprio corpo diventano più sensibili e tolleranti, e desiderano rivivere tali stati.

Esiste anche un’ipotesi puramente biologica che spiega questo effetto delle esperienze fuori dal corpo. Secondo tale ipotesi, la giunzione temporo-parietale e la rete in modalità predefinita sono probabilmente mediatori in questo processo. Queste aree cerebrali mostrano un aumento dell’attività quando una persona guarda una scena emotiva in un film, ad esempio. È interessante notare che, negli individui con autismo e schizofrenia (condizioni caratterizzate da un deficit di empatia), la giunzione temporo-parietale funziona in modo diverso rispetto agli individui sani.

I ricercatori riconoscono che la loro ipotesi richiede ulteriori validazioni. Ma cosa accadrebbe se, stimolando specifiche aree cerebrali, potessimo far sentire a qualcuno il dolore di un’altra persona?

Come cambierebbe il nostro mondo con uno strumento del genere?

L’articolo è stato pubblicato nell’agosto 2024 in Neuroscience & Biobehavioral Reviews.

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