Una delle ipotesi più diffuse riguardo alla natura delle esperienze di pre-morte (NDE, Near-Death Experiences) le spiega nel modo seguente: al momento della morte clinica, si verificano dei picchi di attività cerebrale che causano alla persona visioni vivide. Tuttavia, gli scienziati estoni Roland Karo e Annabel Parts, analizzando diversi studi di ampia portata, hanno espresso dubbi su questa spiegazione. È vero che il cervello mostra una certa attività dopo l’arresto cardiaco, ma le onde cerebrali associate alla coscienza sono estremamente rare. Le esperienze di pre-morte, dunque, non sarebbero allucinazioni prodotte da un cervello morente, ma qualcosa di completamente diverso.

Tra la morte clinica e quella biologica esiste una “zona grigia”, in cui il cervello resta attivo per un certo periodo. Gli autori suggeriscono che le “avventure” di pre-morte possano essere collegate a un’espansione della coscienza, che in quel momento disattiva i consueti filtri percettivi che costituiscono il nostro “sé” ordinario. Questo spiegherebbe la vividezza e l’intensa carica di significato delle esperienze di pre-morte: è come se l’intera vita scorresse davanti agli occhi della persona, portandola a trarre importanti conclusioni. Stati simili, seppur meno accentuati, si verificano durante momenti di estasi mistica o durante l’orgasmo.

Questi filtri — formati da cultura, società ed esperienza personale — si costruiscono nel corso della vita e ci aiutano a sopravvivere. Tuttavia, ci impediscono anche di vedere l’intera realtà. Avere un’esperienza di pre-morte equivale a rimuovere questi filtri, permettendo di osservare la vita e sé stessi dall’esterno.

Avete mai notato il venir meno di questi filtri negli stati di fase (sogni lucidi, esperienze extracorporee, esperienze di pre-morte, ecc.)?

L’articolo è stato pubblicato nell’aprile 2025 nella rivista Usuteaduslik Ajakiri.

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