All’inizio di quest’anno, un gruppo di ricercatori guidati da Sam Parnia (USA) ha proposto un nuovo concetto di esperienza di pre-morte (NDE). Da quel momento, le discussioni su questo tema non si sono fermate. Il prossimo round è stato organizzato da un gruppo internazionale di scienziati – Martial, Gosseries, Cassol (Belgio) e Kondziella (Danimarca) – che ha criticato la posizione di Parnia e dei suoi colleghi.

Come sottolineano gli autori, se una persona ricorda la NDE, di fatto, non era morta. O meglio, dal punto di vista della medicina, non soddisfa i criteri di morte cerebrale. Questi criteri sono stati introdotti negli anni ’60 e da allora non un solo paziente correttamente diagnosticato come morto cerebrale è tornato in vita.

Parnia e i suoi colleghi hanno affermato che 1 su 330 sopravvissuti all’arresto cardiaco (cioè lo 0,3%) ha descritto gli eventi durante la sua rianimazione cardiopolmonare. Come notano criticamente gli autori belgi e danesi, ciò non esclude la possibilità che il resoconto di questa singola persona sia un falso ricordo.

I ricercatori ritengono inoltre che il concetto di NDE “reale” e “irreale” sia inclemente. Non è necessario dubitare che le esperienze delle persone siano reali. Le persone sperimentano ciò che sperimentano. Il malingering è un fenomeno estremamente raro.

Gli autori sono in disaccordo anche con un’altra conclusione: che la NDE durante l’arresto cardiaco sia la prova che la coscienza umana è in grado di esistere al di fuori di un cervello funzionante. I ricercatori ritengono più logico ipotizzare che le immagini/gli scenari della NDE siano stati ottenuti da una persona immediatamente prima della perdita di coscienza (o immediatamente dopo il ripristino della coscienza). Il paziente può ricordarle dopo una rianimazione riuscita.

In conclusione, gli scienziati osservano che l’errore principale consiste nel mescolare due aspetti diversi della morte: da un lato, i meccanismi cellulari che si verificano nel cervello morente e, dall’altro, le esperienze soggettive riportate dalle persone di fronte a situazioni di pericolo di vita. È meglio separare questi due aspetti per evitare di confondere la NDE con il concetto di morte cerebrale.

L’articolo è stato pubblicato nell’agosto 2022 sulla rivista Annals of the New York Academy of Sciences.

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