La tecnica del reality check per raggiungere il sogno lucido (LD) è una delle più conosciute. Nella versione classica, una persona si chiede sistematicamente: “Sto sognando?”, sviluppando così un’abitudine che dovrebbe manifestarsi in un sogno. Una ricercatrice britannica, Berenika Maciejewicz, ha suddiviso questa tecnica in tre diversi protocolli.

Durante l’esperimento, durato dieci giorni, 33 partecipanti (tutte donne) sono stati divisi in tre gruppi. Hanno installato un segnale sui loro telefoni che veniva attivato ogni due ore per cinque volte al giorno. Il suono doveva essere dolce, non invadente e breve (era possibile anche un segnale di vibrazione), in modo da non irritare o interferire con lo studio o il lavoro. I volontari dovevano completare il compito loro assegnato, chiedendosi mentalmente: “È un sogno o è realtà?”, poi continuare la loro giornata come al solito.

Il primo gruppo ha controllato il proprio riflesso nello specchio. In un sogno, l’aspetto di una persona di solito differisce da quello reale. I rischi di questo metodo, osserva l’autore, sono che il proprio riflesso possa spaventare il sognatore e svegliarlo. La pratica però non ha confermato queste preoccupazioni.

Il secondo metodo si basava sul fatto che le leggi della fisica non funzionano in un sogno. Ad esempio, è possibile trasportare un oggetto solido attraverso un altro materiale. Dopo il segnale telefonico, i volontari dovevano appoggiare i palmi delle mani contro il muro e verificare se le loro mani potevano passare attraverso il muro. (Un’opzione in assenza di un muro vicino: provare a spingere un dito attraverso l’altra mano).

Il terzo metodo era quello di esaminare le mani (per vedere se fossero cambiate). L’opzione è vecchia e popolare, l’autore vi ha aggiunto un dettaglio femminile (dato che tutti i partecipanti erano donne): prestare attenzione allo smalto delle unghie. Questo gruppo ha ottenuto i migliori risultati sia in termini di consapevolezza sia di ricordo dei sogni.

Quale versione del reality check preferite?

L’articolo è stato pubblicato nell’ottobre 2022 sulla rivista Journal of Neuroscience and Neuropharmacology.

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