Sono trascorsi 700 anni dalla morte del più grande poeta italiano: Dante Alighieri (1265–1321). Entrò nel firmamento della letteratura mondiale con la sua Grande Opera  “La Divina Commedia”. In una sorta di curiosa indagine, alcuni ricercatori del Brasile – Santos, Borges, Souza e Mota Gomes – decisero di rispondere alla domanda se Dante fosse un narcolettico.

Naturalmente, poiché il loro argomento era un’opera letteraria secolare, era impossibile analizzare con sicurezza. Tuttavia, i ricercatori sono andati avanti e hanno analizzato il lavoro di Dante attraverso il prisma delle informazioni, oggi note sulla narcolessia. Come affermato nel documento, la frequenza della narcolessia è di 45-84 casi ogni 100.000 persone di età compresa tra 20 e 40 anni. La malattia è caratterizzata da sonno improvviso, eccessiva sonnolenza diurna, debolezza muscolare, paralisi del sonno e allucinazioni.

La narrazione della Divina Commedia di Dante avviene durante una sorta di un sogno o allucinazione insolitamente vivida. Qui inizia il suo viaggio dall’inferno al paradiso. Analizzando il testo, Santos et al. hanno trovato continui riferimenti ad uno stato di sonnolenza (“tanto ero pieno di sonno”), l’esperienza di un breve sonno ristoratore (“come una persona che viene svegliata con la forza, e intorno ho mosso i miei occhi riposati”), il passaggio improvviso tra veglia e sonno (“e la mente si trasmuta in sogno”), allucinazioni (in cui Maria sta abbracciando Gesù) e debolezza muscolare (quando si incontra un lupo).

Gli autori scoprono che nella narrazione dell’opera di Dante si fanno altri riferimenti: epilessia, uso di sostanze psichedeliche, o semplicemente sogni molto vividi. Tuttavia, come aggiungono i ricercatori, vista la presenza di tanti indicatori, è difficile non associarli alla narcolessia.

L’articolo è stato pubblicato nel novembre 2021 nella rivista Studies in Health Sciences.

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